Sotterranei Sonori
Blog settimanale di informazione musicale

I MIGLIORI ALBUM DELLA NOSTRA VITA

11:45
PETER GABRIEL
"So" - (1986)

Quando nel 1976 Peter Gabriel annuncia il suo distacco dai Genesis alla fine del tour di "The Lamb Lies Down on Broadway" per dedicarsi alla vita familiare e stare vicino alla sua primogenita Anna (non proprio in salute), l'interrogativo principale e' se il gruppo potra' continuare ad avere successo senza di lui, mentre di quello che fara' Gabriel, non si intravede un granche'.
I Genesis avranno un enorme successo negli anni '80, ma decisamente la loro musica sara' ininfluente se comparata alla ricerca artistica e musicale del loro vecchio compagno.
Ci vuole un po di tempo prima che Gabriel chiarisca la sua visione musicale e la direzione che vuole intraprendere. La sua attenzione si sposta verso l'innovazione tecnologica apportata dall'uso del campionatore che negli anni '80 spostera'  momentaneamente il suono del rock  lontano dalla chitarra elettrica (con risultati non sempre edificanti!).
Fino all'uscita di "So", Gabriel pubblica 4 album caparbiamente intitolati semplicemente con il suo nome, (cosa che fara' impazzire gli americani i quali daranno agli album dei soprannomi per distiguerli uno dall'altro, rispettivamente "Car", "Scratch", "Melt" e "Security") ma la vera svolta si ha nel 1980 con il terzo album della serie, in cui Gabriel getta le basi della sua idea di musica accompagnata da un commentario sociale che lo rende un vero protagonista del decennio. Il successo arriva due anni dopo con "Shock the Monkey" che lo porta addirittura alla famosa esibizione Sanremese in cui lanciandosi con una corda sulle teste del pubblico attonito, finisce con la schiena direttamente su un amplificatore del palco, rompendolo.
A dieci anni dalla sua uscita dai Genesis, Gabriel ritorna ad essere un "rock star" con "So", che non solo produce una scia di singoli da classifica ("Sledgehammer", Don't Give Up", "Big Time", "In Your Eyes" e "Red Rain") ma "Sledgehammer", negli Usa, arriva al primo posto rubandolo ad "Invisible Touch" dei suoi vecchi compagni Genesis. L'enorme successo del disco e' inoltre inestricabilmente legato all'uso innovativo che Gabriel fa del videoclip, rendendolo uno degli artisti piu' innovativi in assoluto. Ma la vera novita' e' che "So', nonostante contenga tutti gli elementi della ricerca sperimentale di Gabriel, (l'uso dei campionatori e della musica elettronica, gli interventi di musica etnica, le liriche impegnate su temi sociali od ispirate ad oscuri esperimenti psicologici)  presenta canzoni  strutturate in maniera accessibile a tutti, trovando la formula magica che coniuga arte e commercio in maniera perfetta.
In "So", Gabriel mostra il suo amore per il soul stile Motown in "Sledgehammer" ma riempie il testo di metafore sessuali piuttosto che un generico inno all'amore. In "Red Rain", (a mio avviso il pezzo migliore del disco) e' il sogno a farla da padrone; il toccante duetto con Kate Bush "Don't Give Up" affronta il tema sociale della disoccupazione mentre la world music ed il suo amore per la musica etnica, entrano con un netto contrasto nella gioiosa "In Your Eyes" supportato dai vocalizzi di Yossou N'Dour; ma non mancano le pagine oscure come "Mercy Street" dedicato alla poetessa americana Anne Sexton, e "We Do What We're Told" che prende spunto dal famigerato esperimento Milgrim sull'obedienza verso l'autorita'. C'e' poi per finire, "Big Time" che con il suo ritratto sarcastico del successo e della fama ha la stessa funzione della lettera che Gabriel scrisse ai fan dieci anni prima per giustificare il suo abbandono dai Genesis.
Dopo "So" infatti, Peter Gabriel avra' una serie di problemi personali legati alla sua situazione familiare, anni di terapia di coppia che si concluderanno con un divorzio, la turbolenta relazione con la Arquette, l'ostilita' della figlia etc, tutti incubi che inevitabilmente finiscono nei due album seguenti che formano (come mi piace chiamare) la trilogia delle sillabe ("So", "Us", "Up"). La distanza che separa l'uscita di questi album (6 anni tra "So" e "Up" e ben 10 anni tra "Us ed "Up"), e' in qualche modo la testimonianza della difficolta' di Gabriel a mantenere l'equilibrio tra pubblico e privato in una sorta di auto profezia nel quale si avverano tutte le paure.
"So" rimane il suo traguardo piu' alto in una storia che comunque non puo' che suscitare ammirazione nei riguardi di una dei piu' interessanti, originali ed umanamante straordinari artisti dei nostri tempi.
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DESTROYER - "Kaputt"

12:11
Con un nome come Destroyer ed un album intitolato "Kaputt" uno si aspetterebbe un disco di death metal. Invece, il nono album di Dan Bejar (gia' membro dei The New Pornographer ) come Destroyer (che e' un gruppo che cambia continuamente componenti) e' un tributo al soft rock degli anni '80 nello stile di Donald Fagen, Prefab Sprout ed anche Talk Talk. Il primo ascolto e' stato decisamente spiazzante, ma superata la sorpresa, il disco continua a girare nel mio ipod con una certa insistenza ed ad ogni ascolto cresce il piacere di ascoltarlo. Il disco e' sicuramente una sfida, anche perche' gioca pericolosamente sul filo della melensa che a tratti lo avvicina piu a Kenny G che agli Steely Dan. Ma la sfida e' decisamente riuscita ed il fascino del disco e' proprio nella sua linea di confine tra il becero commercialismo stile MTV anni '80, ed una sofisticata musica lounge che ha il sapore di un elegante bar notturno con pochi avventori rimasti. Anche perche', se si fa attenzione alle parole, si scopre qua e la che il disco assomiglia piu' alla fine di una festa, al ritorno a casa dopo i bagordi con la sensazione di aver sprecato del tempo (" scrivo poesie per me stesso", "Perdendo tempo a cercare ragazze tutta la notte e cercare cocaina nei retrobottega del mondo tutta la notte"). Insomma, un disco che si ascolta a vari livelli con il risultato che la soffice e rilassante superfice nasconde un lato oscuro che e' ancora piu' inquietante e che si conclude con gli undici minuti di "Bay of Pigs" che e' quasi un riassunto dell'intero album. Non un disco per tutti i palati ma decisamente un affascinante ed originale ascolto.
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FERGUS & GERONIMO - "Unlearn"

12:37
Fergus & Geronimo sono un duo texano (Jason Kelly e Andrew Savage) al loro esordio dopo aver pubblicato una serie di singoli che hanno creato una certa aspettativa ("Never Satisfied", "Turning Blue"). Per capire bene la natura del gruppo, basti pensare che il nome e' stato preso da un oscuro film intitolato "The war of the buttons" in cui due gang rivali di ragazzini si sfidano in battaglie in cui i vincitori tolgono tutti i bottoni dai vestiti dei perdenti per farli restare mezzi nudi ed avere guai con i loro genitori. Come potete immaginare, i capi delle due band rivali erano Ferguson e Geronimo che, da veri nemici, nutrono una certa ammirazione per entrambi. Sembrerebbe un fuori tema quello della spiegazione del nome, ma la musica di Ferguson & Geronimo e' fatta di un intelligente e sarcastico mix di garage rock e pshichedelia che ricorda da vicino i primi album di Frank Zappa specialmente in  "Where the Walls Are Made of Grass" o "Wanna Know What I Would Do" in cui il duo prende in giro la scena indie rock moderna come il grande Frank si divertiva a desacralizzare la scena hippie di San Francisco. Proprio come Zappa, c'e' una certa dose di doo woop in canzoni quali "Powerful Lovin" e nella title track "Unlearn" mentre nelle canzoni piu' garage ("World Never Stop" e "Michael Kelly") si capisce che il duo ha un inclinazione per le melodie che appartengono alla tradizione pop. Un bell'esordio dunque, pieno di sorprese e dinamismo,  in un viaggio tra i generi ed influenze del passato aggiornate per il nuovo millennio.
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THE DECEMBERISTS - "The King Is Dead"

12:15
"The King Is Dead" potrebbe assere la piu' bella sospresa del 2011, per quanto mi riguarda. Non ho mai sopportato i Decemberists piu' di una canzone qua e la',  ed ho sempre pensato che il loro approccio musicale fosse estremamente elitario per non dire, a volte, estremamente noioso. Ma "The King Is Dead" e' un animale completamente diverso, privo di ogni arzigogolo lirico e musicale. Questa volta e' abbastanza evidente quanto Colin Meloy sia un fan dei R.E.M ed il fatto che Peter Buck suoni nel disco ne conferma il sospetto, mentre Gillian Welch aiuta a dare alle melodie dei pezzi l'armonia necessaria a renderle piu' profonde. E' ancora una volta la prova che non c'e' niente di piu' difficille che essere semplici, e con il loro ultimo albun i Decemberist sembrano aver trovato la luce proprio come indica la copertina del disco. L'apertura e' affida alla bellissima "Don't Carry It All" e si chiude con l'altrettanto intensa ballata "Dear Avery". Quello che c'e' in mezzo e' un omaggio alla migliore tradizione folk, country e rock della musica americana e l'uso di chitarre slide, armonica, violino aiutano ad entrare in un territorio familiare eppure sempre ricco di sorprese. C'e' solo da augurarsi che "The King Is Dead" sia il primo disco di una nuova fase per i Decemberists e non un episodio isolato e che abbiamo finalmente intrapreso la via che passa prima dal cuore piuttosto che dalla testa.
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WIRE - "Red Barked Tree"

11:55
Non e' facile raccontare la storia dei Wire, ma certamente si puo' dire che a distanza di trent'anni di attivita' musicale sono uno dei pochi gruppi nati durante l'esplosione del punk che ancora sono rilevanti.  Nelle loro varie incarnazioni non hanno mai avuto la tentazione dell'autocelebrazione ma sono sempre rimasti fedeli all'idea di evoluzione e sperimentazione che li ha resi in qualche modo immuni al passare del tempo. "Red Barked Tree" non e' certo paragonabile al seminale debutto "Pink Flag", ma il punto e' proprio questo: nessun album dei Wire e' stato simile al precedente. Le undici canzoni che compongono "Red Barked Tree" sono dei piccoli gioielli assemblati con sapienza sia quando brillano della loro natura piu' rock ("Two Minutes", "Moreover") o nella loro incarnazione piu melodica ("Please Take" e la title track). Ma i generi, per i Wire, sono sempre stati delle tele bianche su cui strutturare, o meglio, destrutturare l'idea stessa della creazione. Dopo tutto quanti altri gruppi vantano nel loro catalogo album castruiti sulla versione della stessa canzone come "The Drill"? Non avendo mai avuto il "successo" che altri gruppi hanno avuto il piacere di assaporare,  i Wire i hanno mantenuto la liberta'di seguire solo il loro gusto. "Red Barked Tree" non li rendera' certo famosi ma, a questo punto, possiamo dire che e' meglio cosi'.
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BRITISH SEA POWER - "Valhalla Dancehall"

11:42
Per chi come me ha amato "Do You Like Rock Music?", il nuovo album dei British Sea Power e' un gradito ritorno. Sebbene ci siano differenze tra i due album, I British Sea Power sembrano aver trovato una linea di esplorazione che differisce nei particolari piuttosto che nell'impianto complessivo. Le canzoni di "Valhalla Dancehall" (il titolo scherzosamente allude ad un party ultraterreno in cui Thor e Scratch Lee Perry si divertono insieme) sono dei veri e propri inni senza la grandiosita' superficiale da stadio ("Who's in Control",  "We Are the Sound"), intervallati da ballate altrettanto intense ("Luna", "Baby", "Cleaning Out The Room) e da canzoni che sono piu' direttamente legate all'album d'esordio ed hanno un sapore piu' indie ( "Stunde Null" e "Thin Black Sail", non a caso le canzoni piu' corte). "Valhalla Dancehall" e' dunque il classico album in cui il gruppo e' capace di rendere omogeneo tutta una serie di stili esplorati nel passato trovando un comune denominatore che li rende padroni del loro materiale. La diversita' di stili e' pero' il pregio ed il difetto dell'album, in quanto, nonostante rende il disco dinamico non aggiunge niente di nuovo al canone. Resta comunque il fatto che le canzoni sono costruite su delle accattivanti melodie ed e' difficile rimanerne immuni. Sono ormai giorni che mi ritrovo inaspettatamente a fischiettare "Living Is so Easy" senza nemmeno accorgermene.
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CAKE- Showroom of Compassion"

09:30
Sono passati ben sette anni dall'ultimo album dei Cake, "Pressure Chief" e, sebbene non molto e' cambiato nel loro universo sonoro, molto e' cambiato nel panorama sonoro intorno. Questo fa si che la loro musica suona oggi ancora piu' stramba ed originale di quanto lo era quindici anni fa. I Cake non giocano il ruolo dei sopravvissuti della scena indie pop degli anni '90, ma continuano imperterriti a seguire il loro istinto musicale aggiungendo piccole gemme al loro gia' ricco caalogo. Il brano d'apertura 'Federal Funding" e' in pieno stile Cake, sarcastico nel testo, musicalmente accattivante e cantato con la stessa attitudine di sempre da John McRea, cioe' con quella sorta di lamento che sembra quasi che ti sta facendo un favore. Oltre al brano d'apertura, ci sono almeno altri due pezzi che sono riconoscibili all'istante, il singolo "Sick of You" e "Got to Move" mentre la solita cover stavolta rende omaggio ad un oscuro pezzo di Frank Sinatra "What's Now Is Now". La distanza che separa il nuovo album dall'ultimo, ha portato anche il gruppo a produrre il proprio materiale ed a registrarlo nel loro studio completamente alimentato ad energia solare. Non che questo abbia un effetto sulla musica, ma dimostra come i Cake siano un gruppo a se, distanti dal clamore ma coerentemente capaci di portare avanti una visione musicale originale. In "Sick of You" McRea canta: "every camera every phone, all the music that you own, won't change the fact that you're all alone", a dimostrazione che i Cake, nonostante una lunga  assenza, hanno ancora gli occhi puntati sulla realta' con uno sguardo critico che pero' comprende appunto una certa dose di compassione.
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