Sotterranei Sonori
Blog settimanale di informazione musicale

BELLE AND SEBASTIAN - "Write about Love"

15:15
A quattro anni di distanza da "The Life Pursuit", il ritorno di Belle and Sebastian e' sempre una bella notizia. Per una volta e' lecito essere contenti di ottenere quello che ci si aspetta, cioe' un disco pieno di quelle atmosfere anni '60 filtrate da una sensibilita' moderna, che ha reso la loro musica inconfondibile nonostante le innumerevoli imitazioni. "Write about Love" vede di nuovo alla produzione Tony Hoffner, che ha gia' dato al suono del gruppo una produzione piu' cristallina, dove niente e' fuori posto e tutto scorre piacevolmente dall'inizio alla fine anche quando gli ospiti prendono il posto di leader nel cantato ( Norah Jones in "Little Lou, Ugly Joe, Prophet John" e  Carey Mulligan in "Write about Love"). Anche se la musica di Belle and Sebastian non cambia, quello che impressiona e' la costanza con la quale il gruppo continua a sfornare dischi di alta qualita', tanto da farlo sembrare una cosa facile da fare. Il fatto che la distanza tra gli album aumenta, non fa che creare la giusta aspettativa per un gruppo che e' capace di rimanere "indie"  parlando una lingua mainstream.  "Write about Love" si ascolta dall'inizio alla fine senza interruzione, senza bisogno di saltare nessun brano e piu' lo si ascolta piu' diventa piacevole. Il retrogusto Tamla/Motown, aiuta di certo a creare quella particolare e familiare atmosfera di gioia, soprattutto in pezzi come "The Ghost of Rockschool" e "I Can See the Future" mentre altrove, come nel pezzo d'apertura "I Didn't See it Coming" o "I Want the World to Stop", si ha l'impressione che la Swinging London degli anni sessanta non sia mai passata di moda. Insomma, Belle and Sebastian sembrano seguire il detto che dice "mai cambiare una cosa che funziona bene": infatti la loro musica e la loro ispirazione funzionano ancora benissimo dopo quindici anni di carriera.
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NEIL YOUNG - "Le Noise"

10:14
Di tutti i grandi artisti che hanno costruito il mito della musica rock negli anni '60 e che ancora sono musicalmente attivi, Neil Young e' decisamente quelo che piu' di ogni altro ha ancora lo sguardo rivolto al futuro. Nessuno puo' con certezza sapere cosa aspettarsi da un suo album, ma certamente quello che lo contraddistingue e' l'alternanza di album acustici ed elettrici (non tutti riusciti). Con l'aiuto di David Lanois, Neil Young da alle stampe "Le Noise", uno degli album piu' originali della sua recente carriera. In solo otto brani, Neil Young sfodera una potente energia accompagnandosi solo con la sua chitarra elettrica, (tranne due brani "Love and War" e "Peaceful Vally Boulevard" in cui la chitarra e' acustica) e la meraviglia e' che non si sente assolutamente la mancanza degli altri strumenti. Ma, grazie alla produzione di Lanois, non e' nemmeno un disco scarno, anzi e' un disco pieno di musica. L'attacco di "Walk with Me" apre le danze e la voce e la chitarra elettrica sono tutto quello che un artista come Young ha bisogno. Ma il senso del disco e' racchiuso nella ballata acustica "Love and War", i due temi che Young ha cercato di raccontare in tutte le sue sfumature recentemente. Mescolando ricordi personali ("Hitchicker") e riflessioni personali sullo stato delle cose ("Angry World") Neil Young e' ancora sorprendentemente vitale e la dimostrazione che il rock non ha nessuna voglia di invecchiare.
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I MIGLIORI ALBUM DELLA NOSTRA VITA

15:43
NIRVANA
"Nevermind" (1991)
 
Quando nel 1991 i Nirvana pubblicano "Nevermind", le aspettative che il gruppo e la casa discografica ripongono sul successo dell'album sono assai modeste. Il passaggio dalla indipendente Subpop alla major Geffen offriva, ovviamente, un maggior potenziale sia nella registrazione dei brani che nella distribuzione dell'album, ma il pronostico era quello di vendere intorno alle 50.000 copie. Nessuna band proveniente dal circuito del rock cosiddeto indipendente, godeva di uno straordinario successo, ne' tantomeno della deprecabile fama. Tutti sapete com'e' andata a finire.
Il fatto che la casa discografica non avesse grandi aspettative, gioca un ruolo a favore dei Nirvana che, liberi dalla pressione di creare hits (come invece accadra' in seguito) costruiscono un capolavoro che attraversa i generi e ridefinisce il significato del rock. Quello che e' diventato un disco che ha segnato una intera generazione , non ha quindi niente di preordinato e precostituito.
"Nevermind" raggiunge il cuore e la mente di milioni di giovani in tutto il mondo per la sua originale mistura di punk, metal e pop, con riff accativanti che entrano nella testa al primo ascolto per non uscirne mai piu', e per la sua genuina dose di rabbia e frustrazione incarnata fisicamente da Kurt Cobain, dal suo modo di cantare, di muoversi sul palco, e dai suoi versi.
Rispetto a "Bleach", la produzione e' molto piu' curata, raggiungendo un compromesso tra l'immediatezza del punk e la raffinatezza del pop, soprattutto per quella che era la visione della musica da parte di Cobain. Ma c'e' anche l'entrata in scena di Dave Ghrol alla batteria che da una spinta propulsiva ai pezzi dandogli la potenza necessaria a farli diventare dei veri e propri inni.  La statura del disco ha avuto un impatto immediato sull'immaginario giovanile riuscendo nell'impresa di mettere assieme e di costruire una comunita' da tante tribu' sparse. Non e' un impresa facile ed e' anche risultato un peso troppo ingombrante da portare sulle spalle. Quando Cobain prendera' le distanze da "Nevermind" in realta' quello che ha in mente e' di togliersi immediatamente da un ruolo soffocante di messia generazionale sotto costante pressione.
D'altronde la breve parabola di Cobain e' ben nota nel mondo del rock, ma sembrava appartenere al passato, ad un mondo in cui l'innocenza e l'incoscienza andavano sottobraccio. Per questo il suo suicidio e' stato se possibile ancora piu' tragico delle morti "accidentali" di altri eroi. Anche se quello che ci resta e' un monumentale documento di estrema bellezza, non possiamo non rammaricarci della sua scelta estrema.
"Nevermind" e' ormai considerato uno dei dischi piu' importanti della storia del rock, ed i pezzi contenuti nell'album sono quasi tutti dei classici: "Smell Like Teen Spirit", "Come As You Are", "Lithium" "In Bloom" ect, fanno parte dell'immaginario collettivo e, come nota a margine, e' bello poter dire che quando i Nirvana diventarono un fenomeno mondiale, io gia' li conoscevo grazie al mio amico Marco. Le sue lacrime alla notizia della morte di Kurt Cobain, me le porto con me come un ricordo prezioso.
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SEAL - "6: Commitment"

19:10
Dopo la parentesi di "Soul", in cui reinterpretava grandi classici del soul (apputno), Seal torna con un nuovo album di inediti di grande classe. Lontani ormai i tempi di "Killer" e "Crazy", e giunto quasi alla soglia dei 50 anni, Seal si concentra sul tema dell'amore, o meglio, della relazione amorosa duratura, quella da adulti per intenderci. Il suo matrimonio con la supermodella Heidi Klum nel 2005 lo ha portato alla ribalta non certo per motivi musicali, ma qui si prende una bella rivincita. Anche se non ci sono piu' le invenzioni stilistiche di Trevor Horn che hanno caratterizzato i suoi primi lavori, siamo comunque di fronte ad una produzione di lusso, con arrangiamenti che servono a mettere in risalto l'interpretazione e la voce di Seal che in qiesto disco risulta piu' sincera che nei precedenti lavori. Sembra quasi che l'anima che ha cercato di ricatturare nel disco di cover, gli sia servita a riscoprire la sua. Non c'e' niente di rivoluzionario in questo disco, solo l'eleganza e la confessione di un uomo che tra le gioie ed i dolori e' ancora pronto a scommetere sul lavoro che bisogna fare per rendere un amore degno di questo nome. Non si ascolta Seal per trovare e scoprire le nuove tendenze musicali ma per abbandonarsi seppure per poco ad una specie di sussurro atemporale e confortevole dove la cura del dettaglio e l'attenzione ai particolari esalta ancora di piu' la bellezza di una voce come la sua. Un disco per cuori teneri insomma, ma anche per quelli che vogliono lasciare un attimo le frustrazioni fuori dalla porta ed immergersi in un confortevole bagno caldo ristoratore (possibilmente insieme alla compagna/o).
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DEERHUNTER - "Halcyon Digest"

09:22
Giunti al quarto album, i Deerhunter prendono la forma di una band originale e riconoscibile che si lascia alle spalle tutte le influenze che hanno marcato i loro lavori fino a questo punto. La direzione presa con "Halcyon Digest" e' decisamente di forte emozione, con potenti ballate come la bellissima "Helicopter" e brani accessibili ma niente affatto banali che puntano l'attenzione verso la migliore tradizione pop degli anni '60 e '70. Per entrare dentro lo spirito del disco, bisogna superare il brano d'apertura "Earthquake", che nonostante il titolo (Terremoto) e' in realta una sorta di risveglio lento o di un lento addormentamento con dei suoni elettronici di sottofondo ad un arpeggio di chitarra che appunto non si sa se ci trasporta nel mondo dei sogni o della realta'. Infatti mentre le due canzoni che seguono, "Don't Cry" e "Revival", possono in qualche modo far venire in mente un Beck senza troppi fronzoli, con "Sailing" il disco rientra in quelle atmosfere oniriche della traccia d'apertura per poi ripartire con i due brani piu' marcati dell'album "Memory Boy" e "Desire Lines" con la sua lunga coda ipnotica. La sensazione generale quindi e' quella non solo di un album composto di ottimo materiale, ma di una sequenza ben strutturata che fa si che l'album venga ascoltato nella sua interezza. La cosa e' di per se' impressionante nella nostra epoca di playlist ed ipod che hanno ridotto la nostra capacita' di concentrazione per un intero disco. I Deerhunter si propongono come una di quelle band ancora capaci di credere che un disco, tutto il disco, sia il risultato di una ricerca musicale che va al di la della singola canzone e del rispettivo video ad effetto che l'accompagna, anche se basterebbe la sola "Helicopter" a farli comunque essere presenti.
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GRINDERMAN - "Grinderman 2"

07:37
Nonostante abbia un grande rispetto per Nick Cave, mi e' difficile amarlo. I suoi lavori sono sempre molto interessanti, ma non provo mai un istintivo piacere nell'ascoltare la sua musica. C'e' sempre bisogno di concentrazione, di capire cosa stia dicendo, di usare, insomma, il filtro dell'intelletto. Le cose non cambiano molto con la sua nuova incarnazione musicale di Grinderman, anche se il progetto nelle sue intenzione e' quello di mettere in luce l'aspetto piu' animalesco ed istintivo della sua natura. Il primo disco dei Grinderman aveva decisamente una natura piu' selvaggia, mentre in questo secondo lavoro le cose diventano piu' studiate, piu' "pensate" ed in qualche modo hanno un impatto minore. Rimane comunque sorprendente il fatto che un veterano come Cave, possa mettere in scena attraverso l'uso di un blues obliquo, una visione della parte oscura della natura umana che passa principalmente attraverso immagini di violenza e sesso , che molte giovani band sono incapaci di affrontare. E' una sorta di incubo alla David Lynch, un umorismo nero che si prende beffe del perbenismo e del bene come valore primario. La narrazione composta dai brani sono di eccellente fattura, i personaggi sono inquietanti e mettono a disagio anche quando apparentemente il tema e' quello dell'amore. Un lavoro quindi che ci ricorda quanto l'animale selvaggio della nostra natura possa prendere il sopravvento in qualunque momento mettendo a rischio le nostre certezze. Basta dare un occhiata alla copertina per capire quanto questo senso di pericolo sia costantemente presente. Nonostante il lavoro di Cave colpisce molto di piu' la mia testa che la mia pancia, e' comunque interessante sapere che uscire dall'adolescenza non diminuisce affatto il bisogno di sporcarsi nel fango della vita, anche solo a livello intellettuale.
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