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I MIGLIORI ALBUM DELLA NOSTRA VITA

THE KINKS
"The Kinks Are the Village Green Preservation Society" (1968)

Se chiedete a Ray Davies, vi dirà senza ombra di dubbio che i Kinks erano il miglior gruppo rock inglese degli anni sessanta, meglio dei Beatles e dei Rolling Stones. Anche se sappiamo che ciò non è vero, lui ha tutto il diritto di crederlo anche perchè gli argomenti che può portare a sostegno della sua tesi sono decisamente notevoli. Quello che è certo è che i Kinks non hanno goduto della stessa popolarità mondiale degli altri gruppi della British Invasion, e questo generalmente è attribuito a due fattori: il primo è che la loro musica non è mai stata fortemente innovativa e sperimentale (tranne il primissimo periodo di "You really Got Me"), quanto piuttosto ispirata alla tradizione delle forme musicali inglesi quali il music hall, rafforzata dal secondo motivo, cioè la proibizione di tornare a suonare negli Stati Uniti per un periodo di quattro anni a partire dal 1965, cosa che gli ha precluso la conquista del più grande mercato discografico e quindi la fama e gloria degli altri gruppi inglesi, molti dei quali decisamente molto meno dotati di loro ( vedi Gerry and the Pacemakers dei quali vi domanderete :"E chi sono?". Appunto!).Qundo i Kinks realizzarono "The Village Green" nel 1968 le vendite a livello mondiale del disco si aggirarono intorno alle 100.000 copie (poco più dei loro parenti si direbbe oggi), e, nonostante le positive recensioni da parte della critica, il disco passò quasi del tutto inosservato. Quello messo in piedi da Ray Davies e compagni era un omaggio all'Inghilterra rurale, fatta di personaggi normalmente appartenenti alle classe operaia o contadina, che conducono un esistenza semplice ma felice, accontentandosi dei loro riti come scattarsi foto "per provare che in realtà stanno vivendo". In realtà quello dei Kinks non è solo nostalgia ma, per fare un paragone eccessivamente alto, una denuncia di rivoluzione antropologica non così lontana dalla visione Pasoliniana della bellezza della civiltà contadina. Nel prendere la parte e nell'esaltare la vita del "Green Village", Ray Davies in realtà racconta la vita della maggioranza delle persone, dei loro sentimenti, della massa avulsa da tutta la presunta "rivoluzione" psichedelica tanto osannata. I vari "Johnny Thunder", la "Wicked Annabella", "Monica" e "Walter" non sono degli sconfitti ma semplicemente degli abitanti dei margini della storia.
Ora, a chi poteva interessare tutto questo in un gruppo rock nel 1968? Forse nemmeno a quelli che hanno comprato il disco all'epoca. Eppure la storia ha reso giustizia sia ai Kinks come forza musicale dell'epoca, sia a Ray Davies come uno dei più grandi parolieri e poeti del rock, sia al disco che, col tempo, è diventato il più conosciuto e venduto di tutta la discografia Kinksiana. Il disco è, ovviamente, anche il punto di arrivo musicale più alto della loro carriera (e quello che vede per l'ultima volta la formazione originale insieme). C'è il rock, il folk, il blues ed il music hall, in una miscela originalissima che si sposa alla perfezione con gli affreschi raccontati da Ray Davies. 15 canzoni che trovano la loro unità stilistica nella traccia d'apertura "The Village Green Preservation Society" (scritta però per ultima) in cui si citano tutte le cose da preservare (prima che vengano distrutte da una presunta modernità cinica ed amorale) che vanno dalle porcellane cinesi, alla marmellata di fragole in tutte le sue varietà, dai piccoli negozi al varietà fino alla verginità.
Insomma, scegliendo di stare dalla parte degli emarginati e proponendosi come conservatori di un mondo in declino, i Kinks hanno creato un gioello che entra a pieno titolo in un eventuale aggiornamento del catalogo delle cose da salvare. God Save The Kinks.

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