Sotterranei Sonori
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I MIGLIORI ALBUM DELLA NOSTRA VITA

PINK FLOYD 
"The Dark Side of the Moon" (1973)

La reputazione di "The Dark Side of the Moon" è così alta che sembra quasi superfluo continuare a scriverne. La cosa straordinaria è che questa reputazione non è mai scesa e continua a conquistare nuove generazioni di ascoltatori. E' l'album dei record essendo il terzo più venduto di tutti i tempi ( dopo "Thriller" di Michael Jackson e  "Back in Black" degli AC/DC) ma è quello che ha il maggior numero di presenze nella classifica americana di Billboard essendoci apparso,  cumulativamente, per ben 1600 settimane (pari a 31 anni). Ora, è ovvio che tutto questo non può essere semplicemente dovuto ad un caso, ne alla voglia degli autori di costruire un disco dalle grandi potenzialità commerciali ma la conferma che l'enorme suggestione provocata da un opera artistica non risponde a nessuna logica (figuriamoci a quella di mercato!). Quello che però emerge anche da successive interviste con i membri del gruppo è che c'era la consapevolezza di aver realizzato un opera di cui andar fieri. Da questo momento in poi, i Pink Floyd sarebbero stati un gruppo diverso da quello che erano stati prima, nel bene e nel male.
La strada che porta alla realizzazione di "The Dark" è lunga ben sette albums. La storia iniziata nel 1967 con la pubblicazione di "The Piper at the Gates of Dawn"(da alcuni considerato il loro vero capolavoro) è minata subito dall'uscita di scena di Syd Barrett  per problemi mentali. Questo episodio poteva benissimo significare la sparizione totale del gruppo.  Nessuno poteva prendere il  suo posto e  quello delle sue visioni. Ma proprio la forza di quella "pazzia" ha consentito ai superstiti di continuare a fare musica. Il periodo seguente ha tutto il sapore dell' elaborazione di un lutto. Il distacco dalle origini è lento e sofferto e composto da albums che si dibattono tra la voglia di rimanere fedeli e quella di liberarsi da una figura tanto importante quanto ingobrante.
Con "The Dark" i Pink Floyd trovano un equilibrio perfetto che, sebbene segni l'inizio di una dominanza delle ossessioni e dei temi cari a Roger Waters, trova una sintesi tra musica e parole, accessibilità e sperimentazione, alienazione e comunicazione. L'idea di scrivere una serie di canzoni sulla condizione umana porta ad una "semplificazione" dei testi che diventano diretti e trova l'accordo e, soprattutto l'apporto essenziale ed ugualmente importante , degli altri tre componenti del gruppo: Dave Mason, David Gilmour e Richard Wright. Partendo da una serie di materiale già esistente, i Pink Floyd perfezioneranno le idee dell'album attraverso una serie di concerti in cui le suoneranno e le modificheranno, tanto che quando finalmente entreranno in studio per registrarle, avranno una familiriatà con il materiale altrimenti impossibile. Ed è proprio in studio che l'album prende quella fisionomia da "concept" che si apre e si chiude con il battito di un cuore.
Anche il titolo "The Dark Side of the Moon" prende forma in studio, quando era solo una delle domande che Waters  rivolgeva a tutti quelli che in qualche modo giravano dalle parti dell'Abbey Road Studios, e che andavano da Paul e Linda McCarteny fino al portiere dello stabile (domande tipo: "cosa significa per te la faccia oscura della luna?", "Quando è stato l'ultima volta che sei stato violento?" "Hai paura della morte?") registrando le risposte. Queste domande contenevano tutti i temi che erano compresi nell'album e le risposte più interessanti finirono nel mix di voci che si sentono per tutto il disco. L'idea di intervistare persone famose e sconosciute, fece si che le risposte scelte avessero un aspetto più universale e sincero e quindi più funzionali al concetto stesso del disco. La follia, la solitudine, l'alienazione, la ricchezza, il passare del tempo e la morte, sono così sublimati da una empatia che rende argomenti così pesanti (e così avulsi dalle tematiche rock) fruibili e condivisibili in quanto parte intima di ogni essere umano.
Tutto questo si accompagna ad una struttura musicale che è anche essa estremamente efficace. Rinunciando alle suite caratteristiche dei lavori precedenti, l'album è composto di canzoni legate una all'altra da rumori, dissolvenze, assolvenze e incastri, che sono assolutamente perfetti nella loro sincronicità con la musica, facendo dello studio (e dell'allora ancora solo tecnico del suono Alan Parson) il quinto elemento del gruppo. Questa accessibilità musicale si nota anche nell'introduzione di cori femminili ("Brain Damage", "Eclipse" e "Time") nella splendida esecuzione vocale di Claire Torry (che riesce a dare voce a "The Great Gig in the Sky" senza dire una sola parola) ed anche nell'uso del sax di Dick Parry nel assolo di "Money" and in "Us and Them".
Ma quello che rimane impresso, è che tutti gli elementi che compongono il disco (le melodie orecchiabili, le voci e le risate, i rumori) hanno la capacità di far "vedere" la musica, e quindi rendono impossibile l'ascolto se non nella sua interezza.
Con "The Dark Side of the Moon" i Pink Floyd diventano un gruppo mastodontico ma anche delle rockstar atipiche. Riescono infatti a comunicare attraverso i loro dischi più che attraverso le loro persone. Sebbene a differenza dei Beatles non smetteranno di fare concerti, porteranno avanti quel discorso iniziato dai fab four con "Sgt. Peppers". Il prisma triangolare che scompone il raggio di luce in uno spettro colorato è sicuramente molto più conosciuto delle loro facce.
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